Il soffio della Sibilla Regina
La nostra storia inizia sui monti dell’Appennino Centrale
nei territori delle attuali regioni Marche ed Umbria, una terra da sempre coinvolta in grandi movimenti energetici e sismici. Chissà quali impressioni erano suscitate, nelle popolazioni italiche insediatesi in questo territorio, da vette così aspre sulla cui sommità non cresceva quasi nulla, battute dai venti, lacerate dai ghiacci. Tutta la Valle del fiume Nera, che da questi monti nasce, era interessata dalla presenza di sorgenti termali ed emissioni sulfuree, tanto che nacque la leggenda di un Drago che periodicamente sbuffava nella valle, impregnandola di effluvi maleodoranti.
I quattro elementi,
la terra tremante dei monti, l’acqua dei fiumi e delle sorgenti, l’aria dei venti che soffiano sulle vette, il fuoco sulfureo delle sorgenti geotermiche, erano tutti rappresentati in modo consistente. L’animo dei popoli antichi, spontaneamente portato all’incontro con una divinità immanente e vitale, di certo non restò indifferente ad un tale dispiegamento di forze della Natura. Fu così che queste zone furono particolarmente votate al culto della Grande Dea Madre: il sacro era vissuto come una manifestazione quotidiana della vita in tutte le sue forme.
La presenza della Dea
sull’Appennino assume le fattezze della Sibilla Regina. L’origine del nome è dibattuta e le interpretazioni sono varie: la derivazione latina potrebbe rimandare alla radice onomatopeica “Sib/Sis” che mima il sibilo del vento; l’etimologia greca invece potrebbe derivare da ”Sios Boule” cioè “Colei che conosce la volontà di Zeus”. Significati che richiamano la necessità di un “ponte” che permettesse all’uomo di dialogare direttamente con la divinità per conoscerne le volontà e i disegni per la propria sorte.
La Sibilla Regina
o Appenninica si presentava come una profetessa che annunciava i suoi vati dall’Antro della Sibilla, una grotta a 2150 m d’altezza sull’omonimo monte. Questa grotta si apre sul versante orientale della “Corona”, una parte sommitale piramidale di colore rosato. Anche nella toponomastica si avverte la presenza di questa figura femminile fortissima: Pizzo della Regina o Monte Priora, punta della Corona: appellativi di evidente regalità.
Infatti, la tredicesima Sibilla regnava nella sua grotta contornata da una corte di Fate che, durante le feste della vendemmia e del raccolto, nottetempo scendevano nei villaggi mescolandosi agli umani: esse partecipavano a balli contadini in cui i ragazzi erano iniziati all’arte del corteggiamento e della danza, mentre alle fanciulle era insegnata l’antica sapienza della tessitura, antica arte magica vicina alla conoscenza degli orditi del destino; Penelope, nell’Odissea, tessendo la sua tela fermò il tempo fino all’arrivo dello sposo Ulisse.
La Sibilla Appenninica
non aveva solo quindi il ruolo di rivelare la volontà divina ma assolveva al compito di iniziare i giovani all’ingresso nell’età adulta e ad assumere il proprio ruolo all’interno della comunità.
Questo Spirito montano manifesta quindi un carattere peculiare rispetto alle altre Sibille note nel bacino del Mediterraneo e manifesta un forte legame con la sua gente: per le popolazioni appenniniche, infatti, la Terra Madre non era solo fonte di nutrimento ma anche di apprendimento e saggezza, con una vena di poesia che purtroppo oggi va sfumando in eccessi tecnologici e consumistici. Eppure c’è ancora chi sente scalpitare i piccoli zoccoli caprini delle Fate che rientrano dalla loro Regina e chi resta ammaliato dai lampi di luce che sfavillano lungo i fianchi del Monte Sibilla…
Flavia Parlato
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