Il nazismo raccontato ai bambini: come spiego la crudeltà?
di Monica Brunettini
Il nazismo è un periodo storico di crudeltà inaudita ed è impossibile da “raccontare” senza traumi e tristezza. E da un episodio che ho vissuto, mi è venuta l’ispirazione di scrivere queste poche righe.
Uno dei periodi più bui della nostra storia recente
Mi trovavo con amici e abbiamo deciso di andare a vedere un film con i bambini. Mio figlio che ha appena compiuto dieci anni, un’altra famiglia con un bimbo di 8 e un altro di quasi undici anni.
Abbiamo optato per il film Jojo Rabbit che – a giudicare dal trailer e senza leggere la trama e tutte le recensioni – poteva persino sembrare divertente.
Ho assistito – per la cronaca – alla visione “parziale” del film in questione: una commedia drammatica del 2019, diretto da Taika Waititi, con Roman Griffin Davis e Thomasin McKenzie.
La pellicola, certamente valida e piena di spunti di riflessione, purtroppo, tratta di un argomento molto impegnativo e delicato: il nazismo. È un film che – tra l’altro – ha vinto anche dei premi ed è consigliato a ragazzi a partire dai quattordici anni. Dopo appena venti minuti, infatti, siamo usciti, non ce la siamo sentita di assistere fino alla fine, data l’età dei bambini e con i miei amici abbiamo fatto alcune considerazioni.
Un periodo storico in cui sono state commesse atrocità inenarrabili difficilmente si può “raccontare” senza traumi e tristezza.
Immagini violente possono traumatizzare i più sensibili
Vorrei solo puntualizzare che assorbire informazioni storiche da un libro di testo è differente rispetto a vedere le immagini. Un film è necessariamente ricco di immagini e questo fa in modo che ciascuno di noi arrivi – più o meno preparato – a comprenderle, in base all’età ma anche al grado di maturità.
Non è un argomento da sottovalutare affinché i nostri figli non arrivino a essere anestetizzati dal dolore a furia di vedere immagini di sofferenza che si imprimono in modo indelebile nelle loro fertili menti. Vedere continuamente scene raccapriccianti influenza le credenze e fa sembrare “normale” ciò che non lo è.
Se durante la lettura il bambino è attivo, può elaborare mentalmente le immagini che il libro evoca, la televisione e un film “catturano” il cervello. La lettura – anche se avviene solitudine – stimola l’immaginazione, mentre lo schermo televisivo congela la creatività. Le programmazioni tendono ad assomigliarsi tutte, e quasi tutte offrono una trama di base analoga, con varianti che diversificano i personaggi e le storie. Succede anche nei videogiochi. Il messaggio che passa è di violenza e poi i bimbi diventano violenti e indifferenti alla sofferenza.
[revisione di Silvia Ponzio]
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