Il colore del crimine
Il colore del crimine Articolo di Roberta Rebella Bertonico
Non ci sono più i delinquenti comuni.
Bazzicare sui social, sui giornali, tra le notizie nazionali del momento, mi pare dia la misura del grado di separazione in cui viviamo, creato probabilmente ad arte.
La notizia di ieri: è morto un uomo, ucciso da altri uomini.
Tripudio di alcuni sui social al momento dell’accertamento della nazionalità di tali uomini, gli assassini. Altri esprimono dubbi si interrogano insinuano e rivangano errori imputati alla categoria lavorativa a cui la vittima apparteneva. E così via dicendo, di pochezza in pochezza….
Qualsiasi crimine viene ascritto ad una o all’altra parte in un triste rimpallo di caratteristiche e di responsabilità. Come se ci fosse l’urgenza di manifestare di indicare l’etichettatura, il colore di un delinquente comune, di un crimine efferato, della malvagità. Come se, individuando ombre o supposizioni che non riconosciamo come appartenenti alla nostra fazione ci assolvesse e ci distanziasse dal crimine commesso. Come se fossimo andati al seggio elettorale dopo aver superato un test attitudinale che indirizzasse, a seconda delle intime qualità. Non illudiamoci, sarebbe troppo facile avere gli elenchi buoni/cattivi per poter decidere a che fila appartenere facendo brillare la nostra nobiltà d’animo. Facciamo attenzione a puntare il dito, a pontificare. Il male è ovunque, insediato, permeante ed ormai manifesto in questa disgregata umanità che, ridotta a brandelli , è sempre più preda di un momento oscuro. La polvere in cui siamo ridotti è, granulometricamente parlando, molto oltre la pezzatura del ‘divide et impera’ , basta un soffio per cancellare.
Nell’umana ansia di appartenere al clan, a cui ogni uomo anela, per sentirsi accolto, compreso, simile e protetto, stiamo dimenticando che l’umanità E’ il nostro clan. Che costantemente infanghiamo o rinneghiamo, agendo inveendo o accusando. Quanto siamo tristi, se dobbiamo rallegrarci delle pecche altrui…
E noi tutti così occupati ad esternare il nostro essere migliori rispetto a chi consideriamo peggiore , ad esultare per aver portato alla luce crimini efferati dove le responsabilità maggiori sono di un altro colore, ad affrettarsi a denunciare la nazionalità di assassini, dimenticando costantemente che sono testimonianza di una umanità di cui facciamo parte, il clan a cui apparteniamo. Ma esiste ancora un clan? o siamo terribilmente soli, impauriti diffidenti e sospettosi?
E mi domando: così tanto occupati a starnazzare nostre opinioni, da che cosa ci stiamo (stanno) distraendo?
Roberta Rebella
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